Da "Filosofia blog" Wordpresse
La visita alla mostra su Vermeer mi ha portato a
ricercare notizie anche di spessore sul concetto di arte ed ho trovato questo
articolo su Wordpresse (Davide Quattrocchi in Filosofia dell'arte) che esamina
alcuni aspetti molto interessanti ed inusitati.
Secondo
Quattrocchi la posizione del critico Danto riguardo all’arte è vicina a quella istituzionale da cui vuole allontanarsi: egli
crede che vi siano motivi ontologici per distinguere un’opera d’arte da un oggetto reale e che le “considerazioni
storico-narrative siano solo accidentali”. Per discostarsene elabora una complessa filosofia
della storia dell’arte, una teoria che indaghi il peso
delle teorie storico-narrative sulla costituzione delle opere d’arte.
Egli distingue tre
diversi macro-approcci: la versione di Vasari in cui la
posizione storica di un’artista dipende dalla verisimiglianza
della sua arte, la versione di Clement Greenberg in
cui un’artista si colloca narrativamente a seconda della
purezza della propria arte e la sua stessa versione in cui la locazione
storica perde di ogni importanza. Le corrispettive filosofie
della storia dell’arte sono quella realista, quella Modernista
e quella post-storica.
L’autore ne affronta una alla volta, ma per ora mi
interesserò solamente di come viene analizzato uno dei dipinti più noti o di Vermeer,
L’allegoria
della pittura (1666)
Jan Vermeer, Lo studio dell’artista, c. 1665-66, Kunsthistorisches Museum, Vienna (http://www.khm.at) |
Il quadro è allegorico e lo capiamo seguendo il soggetto del dipinto: la modella forse rappresenta
Clio, la musa della Storia, ed anche la
carta geografica alla parete è un’esatta riproduzione dei Paesi Bassi che – in quel
periodo ‘particolare’ -a fine del
Seicento – rappresenta quasi un’istantanea a due dimensioni della situazione storica dell’epoca.
L’artista che rappresenta se stesso al lavoro tema non insolito per la pittura del Seicento: pensiamo a «LasMeninas» di Velazquez. In questo caso è Vermeer, il più virtuosistico pittore
olandese del secolo, a mostrarci i retroscena del lavoro di un pittore.
Le piccole di Velazquez |
Rispetto a Velazquez, che capovolge il punto di vista per farci ammirare il pittore all’opera
come lo vedeva chi vi posava davanti, nel caso di Vermeer il pittore olandese pone l’eventuale
spettatore/noi che guardiamo il quadro, alle sue spalle. In questo caso,
quindi, la scena non si discosta molto dai numerosi altri quadri realizzati da
Vermeer, soprattutto quelli che raffigurano personaggi in un’attività di studio
quali «L’astronomo» o «Il geografo».
Geografo |
Il quadro è allegorico: la modella forse rappresenta
Clio, la musa della Storia, ed anche la
carta geografica alla parete è un’esatta riproduzione dei Paesi Bassi che – in quel
periodo ‘particolare’ di fine del
Seicento – rappresenta quasi un’istantanea a due dimensioni della situazione storica dell’epoca.
Ancher se Vermeer nel quadro stia
rappresentando la Storia, il Vermeer pittore non ne è toccato. La presenza di
una modella che personifica Clio è un simbolo
per farci comprendere che il quadro ha senso allegorico non allegoria diretta alla Storia, ma alla Pittura.
Il soggetto de L’allegoria della pittura è Vermeer stesso che dipinge. L’allegoria
elaborata dall’artista di Delft vuole raggruppare in un dipinto tutta la “fatica” pittorica e la
sintetizza con due percorsi che l’artista
olandese intraprende nel trattare il proprio soggetto. Due sono gli spunti molto importanti e che ci danno l’opportunità di riassumere l’intera ‘filosofia’ della pittura seguita dagli artisti occidentali da Giotto a Manet.
1) In primo piano una
tenda ollevata lasciao libero lo spettatore di ‘spiare’ la scena
dipinta.
2) Il pittore volta le
spalle al pubblico poiché è intensamente preso dalla propria opera rappresentativa (pensiamo a quanto
lavoro di precisione per rappresentare nel dipinto la cartina alla parete).
L’arte, possiamo dire
con Quattrocchi, è uno spiraglio aperto sulla realtà e l’artista non deve preoccuparsi
dell’effetto sul pubblico, ma della verosimiglianza della rappresentazione.
Come si può capire anche dal dipinto di Vermeer – che “ ingloba”
la Storia solo per negarla come soggetto – la parola ‘realtà’
non vuol essere una serie di avvenimenti storicamente certi, ma “una dimensioneconnotata da uno stretto rapporto di somiglianza con gli oggetti presenti inquesto mondo”. In questo senso anche il dipinto allegorico di
Vermeer diviene realistico.
SCUDERIE QUIRINALE |
Ciò che appare sorprendente in Studio dell'artista" , come
in tutti gli altri quadri di Vermeer, è la qualità eccezionale della luce: ogni
sfumatura di colore è specificatamente studiata per creare la sensazione più verosimile della luce che entra nell’ambiente. Nella realtà lo spazio interno, è potenzialmente buio. La luce, così, tende a prendere in
questo spazio una sua precisa fisionomia visiva." La luce «si vede». Non sta
semplicemente a «far vedere» le cose, ma si «fa vedere» lei stessa. È proprio
in questa straordinaria capacità di rendere visibile e quasi tattile la luce
che si ritrova uno dei maggiori fascini della pittura di Vermeer, che
ritroviamo in tutti gli altri quadri da lui realizzati".
Sale di esposizione |
RIFLESSIONI DOPO LA VISITA ALLA MOSTRA SU VERMEER
Cosa avrà potuto pensare la Ragazza con
cappello rosso, logo del depliant della mostra su Vermeer, chiusasi il 20 gennaio a
Roma:“Ma sono proprio io, in questo momento, il
centro del vostro mondo? Ma perché continuate a fissarmi così, intensamente? “.
Quella ragazza sembra guardare incredula, sotto il suo cappello rosso: stupita di aver dovuto sostenere tanti sguardi di chi la ha osservata ed abbia
voluto conoscere i suoi impenetrabili
segreti, i suoi stati d’animo, i suoi turbamenti. Infine stupita del fatto che
chi sia entrato nel suo mondo, racchiuso
in quel piccolo dipinto giunto a Roma dopo un lungo viaggio ( Washington), sia stato
proprio “calamitato” dal suo sguardo; lei invece sembra voglia distogliere quegli sguardi con
un che di pudico e ne è prova forse la sua bocca socchiusa che indica un certo disorientamento.
Johannes Vermeer – Girl with a Red Hat, National Gallery of Art, Washington – Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese, Scuderie del Quirinale, Roma |
Ma, come ribadisce Massimo Mattioli:” Risposte, non ne avrà. Perché le risposte sono legate soltanto al suo creatore, Johannes Vermeer (Delft, 1632 – 1675): alla qualità della sua opera, ma soprattutto alla sua inomologabilità, che nel raffronto con tanti artisti olandesi a lui coevi trova l’ennesima conferma. Nella temperie ormai acquisita per la pittura del Secolo d’Oro dell’arte olandese – ruolo centrale della luce che si fa metafisica, promozione degli interni domestici e borghesi a “teatro della vita”, attenzione quasi simbolistica ai dettagli, realismo che trascura l’espressività per la visualità – Vermeer si pone un passo avanti: spingendosi – per citare Wilhelm Worringer – oltre “la superficie visibile delle cose”.
LA PROSSIMA MOSTRA A LONDRA: RAPPORTO TRA ARTE E MUSICA |
Anche la ragazza di burro di Vermeeer ci guarda
negli occhi, apparentemente,
distrattamente tranquilla paciosa, «in piedi al suo virginale» (probabilmente si suonava
anche in questo modo così , impettito oensano i noiosi teorici della filologia
musicale). E il critico Marco Vallora ci introduce nel paradosso:"In apparenza effetti/apparentemente, potrebbe parere un paradosso
contraddittorio, una distrazione stilistica: in realtà proprio qui, in questo
nido-nodo gelidamente, cremosamente incandescente, sta tutto l’enigma impenetrabile,
caldamente minerale, di questo vertiginoso, misterioso, inafferrabile genio
dell’inquietante seraficità pittorica. Ci guarda, in effetti, e non ci vede,
all’apparenza (come capita invece alla maliziose consorelle coeve di van
Mieris, Metsu, de Man, che quasi c’intrappolano in una sorta di civettuolo
nastro adescante, che ruscella furbetto dalle loro pupille puntute...)
Johannes Vermeer. Giovane donna in piedi al virginale, 1670/1673. The National Gallery, Londra |
Certamente,
dall’alto del suo "virgineo temperamento" un po'
altezzoso-aristocratico, la musicante può aver notato uno sbilanciamento: gran parte dei visitatori della mostra
alle Scuderie del Quirinale si è addensato, stratificato, prevalentemente d’innanzi
ai soli Vermeer e ha in parte disertato i contigui "compagni di strada e stradine" (non
soltanto di Delft: il contorno del Secolo d'Oro è assai ampio).
In effetti secondo me il fascino di questa
ricca mostra, curata da Walter Liedtke, Arthur K. Wheelock jr e da Sandrina
Bandera (per quanto riguarda i "riverberi" con l’Italia. Asai interessante il
confronto con la Santa Prassede di Ficarelli, che l’ex calvinista Vermeer
"replica", aggiungendovi solo un crocefisso, per far piacere alla suocera molto cattolica) è proprio nei confronti, nelle consonanze/ dissonanze, che ci hanno aiutato a capire.
Se si è entrati a pieno nella mostra ci si è resi ben conto che "l’incantesimo di Vermeer
si materializza (quasi spiriticamente) in quest’immobilità stupefatta,
d’astratto, candito sortilegio crepuscolare. "
INFINE.....
Unico nel suo tempo, artista senza tempo, Vermeer è STATO in anticipo di più di due secoli su Sigmund Freud, quando infonde
nei suoi dipinti, nei suoi soggetti, nei suoi ritratti, il non
codificato, l’empatia. La terza dimensione, la coscienza della pittura. A ben osservare e riflettere Gli
altri artisti descrivono, lui suggestiona, lui evoca.
SIGMUND FREUD, portrait by Graziano Origa, 25x45, for Nòva100, 2009. |
Queste MIE riflessioni sono
stimolate dalla mostra romana delle Scuderie del Quirinale, che ha vissuto l'
ultimo weekend di apertura: evento che non mi sono fatta sfuggire anche perché difficilmente ricapiterà nel corso degli anni a venire.
Difatti nell'ultimo secolo le grandi mostre dedicate nel mondo a Vermeer sono state otto, e di queste
soltanto tre hanno ottenuto in prestito più di 4 capolavori dell’artista: e a Roma ve ne sono state in mostra otto!!!
Di articoli entusiastici ne ho sfogliati
tanti, in questi mesi: anche acriticamente, aprioristicamente entusiastici. E posso sottolineare però che il nome
forte di Vermeer finisce per mettere in ombra quello che poi è il vero corpus
della mostra: la straordinaria documentazione del “secolo d’oro
dell’arte olandese” con le oltre cinquanta opere di grandi coevi di Vermeer, che
testimoniano di un clima unico nei Paesi Bassi
del Seicento.
LOGO DEPLIANT |
Cosa dire di una piccola cittadina, Delft che contava all’epoca 52
pittori professionisti, che rende plasticamente l’idea della rivoluzione
sociologica che si stava attuando: da questione riservata a committenti solo del clero e nobili - come era sempre stato e come
continuava ancora ad essere nell’area “mediterranea-l’arte allargava gli orizzonti entrava nelle case borghesi.
Non più grandi pale d’altare,
monumentali ritratti, ma piccoli dipinti, proprio per interni domestici (le
opere in mostra a Roma raramente superano il metro di misura). Ma soprattutto, rivoluzione tematica: l’arte finora doveva tenere in conto una
“correttezza” dottrinale, quando aveva a che fare con una committenza
religiosa, una “correttezza” diplomatica, nel caso di committenza nobiliare. L’Olanda protestante e si andava liberando dalla dominazione
spagnola e la pittura si affrancava da prescrizioni, adeguandosi alle esigenze del
pubblico nuovo
View of Delftc. 1660-61 Oil on canvas, 96.5 x 115.7 cm; Royal Cabinet of Paintings Mauritshuis, The Hague |
1 commento:
Cara Simonetta, grazie per queste spiegazioni sulla mostra molto interessanti, volevo proprio andare a vederla, spero di trovare il tempo!
a presto Silvia
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