Che bella fuga nella natura a duemila metri, tra abeti rossi, larici, pini cembri....con Il ragazzo selvatico di Paolo Cognetti.
QUESTO LUNEDI' Consigli di letture ....verdi, opta per il Quaderno- Diario che ha letto ed analizzato per IL GIRO D'ITALIA LETTERARIO ideato dal blog Se una notte d'inverno un lettore
Nella solitudine quasi totale, riscoprire insieme all'autore una vita più
essenziale e rapporti umani sinceri con i due vicini di
casa e la natura , infatti nel capitoletto “Ritorno“ troviamo
una deliziosa raccolta di
bacche di ginepro
BACCHE GINEPRO |
mirtilli da mettere nella grappa
qualche mazza di tamburo nelle
radure,
qualche amanita muscaria
i porcini
Ma più che i funghi lo interessavano gli alberi. In quel periodo stava leggendo
di
Rigoni Stern
e i suoi veri amici, gli
alberi dei duemila metri, Paolo li celebra così
“Provo rispetto per l’abete rosso,
come per l’abitante di un paese buio. Vive nei versanti umidi e
nelle valli in ombra. L’umidità lo fa crescere in fretta:
è un legno leggero, spugnoso, adatto a isolare le case dal freddo. È
un rispetto formale il mio, per un albero che non capirò mai fino in
fondo. Mi turba la sua indifferenza alle stagioni, perché
una pianta sempreverde è come un volto che non cambia espressione. Le grandi distese di abete
rosso mi fanno pensare alle foreste del nord, ai laghi e ai fiordi,
alla neve. Ma una volta, in luglio, mi sono arrampicato su un sasso e
ho visto qualcosa che non dimenticherò più: la punta di un abete,
solo gli ultimi rametti esposti al sole, coperta di fiori azzurri,
spettacolo privato degli uccelli del cielo”.
“Ammiro il pino silvestre
come un pioniere. È il primo albero ad alto fusto a colonizzare le
pietraie, i canaloni spazzati dalle valanghe. Affonda le radici tra
le rocce tessendo una rete che le tiene insieme. albero dalla forma irregolare e bizzarra, un
esemplare diverso dall’altro, tutti ricurvi e contorti come le ossa
dei vecchi montanari. Impossibile ricavarne legname da costruzione.
Non è adatto nemmeno alla stufa, perché la sua resina incendia le
canne fumarie. Ma la stessa resina è il primo profumo del bosco che
si sveglia dal letargo. Quell’odore mi ricorda il sud e il mare:
forse perché altri pini profumano la macchia mediterranea. Così il
pino silvestre è un sogno di sole nel bosco sotto la neve”.
“Amo il larice come un fratello. Il larice è
l’odore di casa e il fuoco del mio camino. Una fila di larici è
ciò che vedo quando alzo gli occhi dal foglio e guardo fuori. Nei
giorni di vento ondeggiano come spighe. Il larice trascorre
lunghi mesi di sonno, prima di mettere le gemme in aprile, e poi
cambia colore con l’avanzare dell’estate: dal verde pieno di
giugno a quello sbiadito d’agosto, fino al giallo e al rosso di
ottobre. Ama il sole, i versanti sud delle montagne, i terreni
secchi. Cerca la luce spingendosi in alto, sopra i compagni
che ha accanto: per questo i rami più bassi si seccano
progressivamente, un po’ come succede alle foglie delle palme, e
basta poco a quel punto a spezzarli. Ma la fragilità dei rami
garantisce la solidità del tronco: di larice sono le travi dei ponti
e dei tetti. Su quella di colmo i montanari usano incidere la data di
costruzione: le case più imponenti di questa valle risalgono tutte
all’inizio del ‘700. Io osservandole penso a quei larici vecchi
di quattro secoli, uno passato nel bosco e altri tre a sostenere una
casa, e mi sembra il servizio più nobile che un albero possa rendere
a un uomo”.
“Venero il pino cembro come
un dio. Il bastone con cui cammino viene da lui: ha un legno bianco
che non ingiallisce con il tempo, forte ed elastico nelle corse sui
sentieri. Altrove vive in foreste, da queste parti invece è
un albero solitario dalla crescita lentissima. Ha semi che gli
uccelli nascondono nelle loro dispense segrete, le crepe dei massi ad
alta quota. Poi basta un po’ di terra, una vena d’acqua piovana:
gli arbusti di pino cembro crescono lassù, sul ciglio dei dirupi,
tra gli spuntoni di roccia, in luoghi inaccessibili all’uomo. A
volte assumono forme tormentate per le acrobazie che devono fare
crescendo, per la neve che li torce e li flette, per il fulmine che
li spezza. Ho trovato il più coraggioso degli alberi a 2500
metri, un arbusto di pino cembro cresciuto in una minuscola cengia,
che lo proteggeva dal vento e gli raccoglieva un po’ d’acqua dal
cielo. Mi è sembrato di avere scoperto un tempio segreto, e
devo aver detto qualcosa di simile a una preghiera”.
da Il ragazzo selvatico - Paolo Cognetti
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