venerdì 9 maggio 2014

LE ERBE SALUTARI DA METTERE NEL PIATTO ...Venerdì del libro 9 maggio


http://www.homemademamma.com/category/venerdi-del-libro/


UN VENERDI' TIEPIDO...DEDICHIAMOCI ALLA SALUTE  A TAVOLA CON  LIBRI CHE CI INDICANO LA GIUSTA ALIMENTAZIONE...DALLA NATURA  !!!
“Ogni prato, campo o collina può essere considerata una farmacia.” Paracelso
Andar per erbe…

 ..TESTI INTERESSANTI E RICCHI  DI SPUNTI






http://circolofotograficovicenza.wordpress.com/attivita/pubblicazioni/100-erbe-di-gusto/


















...PERCHE' ...ANDARE PER CAMPI !!!!


erbacce_commestibiliSe ci addentriamo in un boschetto  ( nelle periferie delle città ve ne sono ancora !!) eccoci  circondati da alberi, arbusti,  erbe, bacche, foglie e radici che se si riconoscono  possono  apportare benessere.
Avviciniamoci  al mondo della natura .... profumi,  sapori  colori vivaci che racchiudono le forze curative delle piante. Ed ogni stagione ci offre i suoi doni. I prati  si colorano del  verde intenso della  primavera. Le piante iniziano a germogliare e si arricchiscono  di clorofilla e ferro.
Cogliamo  i preziosi germogli che aiutano a depurare il nostro organismo, prepariamo  gustose pietanze...seguiamo  il corso della natura!
http://im.wk.io/images/p/6579e/corso-riconoscimento-piante-spontanee.jpegOggi l’alimentazione  è improntata sull’uso di cibi conservati, la cui provenienza è   estranea all’ambiente in cui viviamo ...spesso sono alimenti inscatolati, ricchi di conservanti, coloranti e quindi impoveriti dal punto di vista nutrizionale. Invece le piante spontanee sono alimenti primari,  non manipolati dall’uomo, ricchi di vitalie (vitamine, sali minerali, enzimi, antiossidanti, ecc…) e ci donano  maggior forza e vitalità...
 
http://www.cure-naturali.it/site/image/gallery_big/12181.jpgIn sostanza, mangiando  piante selvatiche e prodotti del territorio, aumentando la varietà dei nostri cibi ed osservando il ritmo delle stagioni, armonizzeremo la nostra salute: la natura va incontro all’uomo e difende la natura stessa

http://www.pimpinella.it/blog/wp-content/uploads/2011/01/sdora.jpg Nel lontano 1767 il noto naturalista Ottavio Targioni Tozzetti  pubblicò un libro sulle erbe alimurgiche (Erbe per combattere le carestie e la fame) dove coniò il termine fitoalimurgia  proprio nel suo “De alimenti urgentia,  proposto per il sollievo dei popoli ” aggiunse come didascalia al titolo “Alimurgia, intendendo con questa nuova scienza illustrare come sopperire, in caso di carestia, alla carenza di cibo attraverso la raccolta delle erbe selvatiche commestibili ”. Per l’allora neologismo si servì del greco ” á līmos ”, che calma la fame, e di “urgìa”. Per un paio di secoli il significato del termine è rimasto legato a quello voluto dal suo autore , oggi lo si usa  ponendo più l’accento sulla conoscenza, l’individuazione e l’utilizzo di piante selvatiche per uso alimentare e di meno sulla raccolta per stato di necessità.
Viviamo ancora in una civiltà del benessere e avendo (pressoché) tutti il piatto pieno possiamo guardare con occhi  diversi che nel passato la pasta con legumi...

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBloxy9Ap13IHEWm2fHNKB58XiniT7cqGYEXX3y89M9VTFr2XMQTMaQl-_2jWpQGTla0ke2_lRj8L2fx6vLeaQpyAHm51QfO4OrwLBmZj2qLvcFmz_85qxGPQKPeuxVx5mcM_tOINky6Y/s1600/erbe.png 
 Il titolo stesso di un lavoro diAngelo Lippi, Da erbe peri poveri a cibo per buongustai: la riscoperta delle piante selvatiche diuso alimentare, edito nel 1998, ci mostra l’attualità di questo cambiamento nei modi di alimentarci,  che si amplia  ogni giorno. Variamente denominate –selvatiche, della nonna, di un tempo, ecc. – per meglio apparire nelle carte di ristoranti e agriturismi, le erbe spontanee      si presentano sempre di più in pietanze e preparazioni che arricchiscono la nostra dieta e fanno bene alla nostra salute.

lunedì 5 maggio 2014

Rubrica Verde 4 maggio: una favola per adulti "L'uomo che piantava gli alberi"




RICORDIAMO CHE ...ogni anno il 5 giugno...
 
  si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale dell'Ambiente (W.E.D. World Enviroment Day), istituita dall'O.N.U. per ricordare la Conferenza di Stoccolma sull'Ambiente Umano del 1972 nel corso della quale prese forma il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (U.N.E.P. United Nations Environment Programme).

 ....come prepararci? ...

 https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjnUWxBWR3bBBJB94_g1eNiRSq4KhB_z0eFK1avwpeocrPzV2oO5trRSt1HamTad1mi9yake-nlvtLzoW_0Km51xYC5zZ3Hp7dalMKpkEDpHUvAKANSvgUZ2Lx-jAxSx_V5xruPvUgF1M0/s1600/l'uomo+che+piantava+gli+alberi_irene+penazzi.jpg
...leggiamo insieme una favola, L’uomo che piantava gli alberi, di J. Giono -1-

Elzéard Bouffier, , doveva essere un tipo un po' strano: un uomo di cinquantacinque anni, viveva insieme alle sue poche pecore in una terra che era un deserto, ci cresceva solo un po' di lavanda selvatica qua e là a ciuffi. Qualcuno facendo scavi archeologici aveva trovato proprio lì degli ami da pesca di epoca gallo-romana, non si sa bene perché, visto che a memorie d'uomo l'acqua, lì, arrivava solo con le cisterne.

 "Un albero è l’idea del tempo, è la sua eternità, la sua longevità"

http://www.istoreto.it/mostre/azione_umanitaria_280904/guida_05a.htm

Tutta la vicenda è raccontata non dal protagonista e ciò  aiuta il lettore a sentirsi come se qualcuno gli stesse raccontando a voce alta una storia tramandata nel tempo.
Jean Giono ce la racconta con la semplicità di una storia alla Fedro: un uomo, solo dopo la morte della moglie e dell’unico figlio, si ritira a vita solitaria e decide di impegnarsi per un solo unico obiettivo: piantare alberi nella terra desolata nella quale vive, tra le montagne della Provenza.

Il racconto abbraccia gli anni che intercorrono tra le due guerre del secolo scorso ma sembra che il protagonista, Elzéard Bouffie, nemmeno se ne accorga:  sperso tra le Alpi francesi, storicamente tagliato fuori dai conflitti ma più di chiunque altro immerso in quello che è, o che dovrebbe essere, il mondo.

http://www.jenkle.com/wp-content/uploads/2013/07/luomo-che-piantava-gli-alberi.jpg"Una quarantina circa di anni fa, stavo facendo una lunga camminata, tra cime assolutamente sconosciute ai turisti, in quella antica regione delle Alpi che penetra in Provenza. Questa regione è delimitata a sud-est e a sud dal corso medio della Durance, tra Sisteron e Mirabeau; a nord dal corso superiore della Dr6- me, dalla sorgente sino a Die; a ovest dalle pia- nure del Comtat Venaissin e i contraffarti del Monte Ventoux. Essa comprende tutta la parte settentrionale del dipartimento delle Basse Alpi..."

....ecco  lande nude e monotone, tra i milledue e i milletrecento metri di altitudine e l’unica vegetazione che vi cresceva era la lavanda selvatica. 
  
Poche pagine, che condensano  devozione, amore, incondizionato e apparentemente inspiegabile, per la propria terra; un amore generoso e gratuito. Elzéard sa che non vedrà mai il compimento della sua opera, la sua foresta ripopolata ma continua, anno dopo anno a camminare e a scegliere accuratamente ghiande e semi per il suo progetto.
http://www.istoreto.it/mostre/azione_umanitaria_280904/guida_05a.htmLa bellezza di questo racconto sta nella naturalezza con cui è presentata la scelta di Elzéard di dedicare la sua vita a quel piccolo pezzo di Provenza: non c’è un ragionamento dietro, non c’è un secondo fine, non c’è un ritorno per il protagonista. È semplicemente il corso naturale della sua vita.

  https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhG5Tj5bn52RRr0kUCCCqxCz993ZrCH7jLuqAavSU6tAos23G47IMj_1cN1pPWNjbs5ADSdZHdyCRUkkuQ-SX7SrDLIsOOgugsNzzT-jkKBQofK_FFmNpafisdbWCjC_nl6EvKEdm2UGQc/s1600/l'uomo+che+piantava+gli+alberi+-+gelostellato.jpg 
 
http://i1.ytimg.com/vi/pI0yOZQwVb8/hqdefault.jpg"Notai che in guisa di bastone portava un'asta di ferro della grossezza di un pollice e lunga un metro e mezzo. Feci mostra. di voler fare una passeggiata di riposo e seguii una strada parallela alla sua. I1 pascolo delle bestie era in un avvallamento. Lasciò il piccolo gregge in guardia al cane e salì verso di me. Temetti che venisse per rimproverarmi della mia indiscrezione ma niente affatto, quella era la strada che doveva fare e m'invitò ad accompagnarlo se non avevo di meglio. Andava a duecento metri da lì, più a monte. Arrivato dove desiderava, cominciò a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva così un buco nel quale depositava una ghianda, dopo di che tura- va di nuovo il buco. Piantava querce

 E’ l’occasione per rilanciare il libro di Jean Giono L’uomo che piantava gli alberi, edito da Salani

 "L'anno seguente, ci fu la guerra del ' 14, che mi impegnò per cinque anni. Un soldato di fanteria non poteva pensare agli alberi. A dir la verità, la cosa non mi era nemmeno rimasta impressa; l'a vevo considerata come un passatempo, una collezione di francobolli, e dimenticata. Finita la guerra, mi trovai con un'indennità di congedo minuscola ma con il grande desiderio di respirare un poco d'aria pura. Senza idee pre- concette, quindi, tranne quella, ripresi la strada di quelle contrade deserte. I1 paese non era cambiato. Tuttavia, oltre il villaggio abbandonato, scorsi in lontananza una specie di nebbia grigia che ricopriva le cime co- me un tappeto. Dalla vigilia, m'ero rimesso a pensare a quel pastore che piantava gli alberi. Diecimila querce mi dicevo, occupano davvero un grande spazio."

http://emporio.parks.it/images/LUomoPiantavaAlberi.jpeg  Piantare alberi è il gesto che più di tutti contiene il senso del futuro. Anche per questo serve farlo,  anche  perché ci permette di stringere un patto con le generazioni che verranno e di scoprire il piacere del dono.E questo piccolo libro ci aiuta a esserne 


http://www.istoreto.it/mostre/azione_umanitaria_280904/guida_05a.htm In sostanza  ritroviamo, nelle pagine, anche l'immagine dello scrittore che amava passeggiare in solitudine per le colline, fermandosi a parlare con la gente del posto; lo scrittore che da bambino camminava insieme al padre con le tasche piene di ghiande e un bastone per poterle piantare.. .
http://www.istoreto.it/mostre/azione_umanitaria_280904/guida_05a.htm 
Forse in questo piccolo libro, Giono ha prestato qualche tratto di sé anche a Elzéard Bouffier, il pastore che passa la sua vita seminando querce, faggi e betulle, senz'altra ricompensa che il piacere e la soddisfazione di averlo fatto?




http://i.imgur.com/St89bhn.gif
 http://i.imgur.com/St89bhn.gif


-1- Jean Giono nasce il giorno 30 marzo 1895 a Monosque, nella Provenza francese. Il padre è di origini piemontesi, di professione calzolaio, mentre la madre lavora come stiratrice: tra l'officina del padre e l'atellier della madre, il piccolo Jean legge da autodidatta Omero e la Bibbia. Il background culturale di Giono è caratterizzato dalla sua condizione di autodidatta ma anche dal grande e vasto sapere, frutto della sua curiosità universale. Nel 1930 pubblica "Collines" e "Un de Baumugnes", opere che ottengono un buon successo editoriale, tanto che Giono decide di abbandonare il suo impiego in la banca per dedicarsi completamente alla letteratura.
Autore inesauribile, l'opera omnia di Giono comprende saggi, dialoghi, poesie, commedie teatrali e circa trenta romanzi, tra i quali ricordiamo "Le chant du monde", "Que ma joie demeure", "Un roi sans divertissement", "Hussard sur le toit" (L'ussaro sul tetto), "Le moulin de Pologne". Ha firmato inoltre il soggetto di numerosi film, tra i lavori il più noto è "L'Ussaro sul tetto".
Jean Giono muore a Monosque il 9 ottobre 1970.

domenica 4 maggio 2014

Il Giro d'Italia Letterario a Ferrara con "Gli occhiali d'oro" di Giorgio Bassani

UN GIRO D'ITALIA LETTERARIO INIZIATO QUI
e che mi ha portato al mio autore preferito: Bassani
AUTORE   LUOGHI   RIFERIMENTI

"Giro d'Italia Letterario gruppo di lettura che si snoda lungo le regioni del nostro Paese..." così recitano le Informazioni che caratterizzano il  Gruppo Segreto di Lettura approdato anche  su Facebook
Adattissima la citazione Cada um de nós é vários, é muitos, é uma prolixidade de si mesmos.(Fernando Pessoa)   della curatrice del Blog da cui tutto è cominciato...  

Se una notte d'inverno un lettore...

  che ha dato l' input a questa bella avventura !!!


OTTAVA TAPPA 27 aprile- 3 maggio - Emilia Romagna- Giorgio Bassani: Gli occhiali d'oro
http://ecx.images-amazon.com/images/I/41PRJ9MHEQL.jpg
Il romanzo Gli occhiali d'oro affronta una delicata analisi del tema della diversità, “l’inversione sessuale” e il conseguente isolamento.
Athos Fadigati, originario di Venezia, ha conseguito una solida carriera a Ferrara come otorinolaringoiatra, con uno studio molto ben avviato, meta delle famiglie più in vista della città. Piuttosto in carne ed elegante, con gli occhiali d'oro scintillanti, è omosessuale: ben presto la comunità provinciale lo viene a sapere, ne accetta la novità, in virtù dell'estrema discrezione e signorilità del personaggio.
L'io narrante del racconto - anno  1936- , è Davide Lattes, un giovanotto che frequenta l'Università di Bologna e ogni mattina, insieme con i suoi colleghi, prende il treno locale che da Ferrara li porta appunto a Bologna. Anche Fadigati sale su quel treno, e in breve si trasferisce dalla seconda alla terza classe, rompendo il ghiaccio con i giovani e diventando loro amico. Fra i ragazzi c'è Eraldo Deliliers, spavaldo, atletico, bellissimo, un po' bullo e un po' maudit: egli è l'unico che prende gusto nel ferire Fadigati con allusioni assai pesanti al suo «vizio», umiliandolo n tutti i modi. Il narratore registra però nel dottore una sorta di acre piacere, di acuto godimento nell'essere maltrattato dal bel giovane, tanto che una «luce assurda ma inequivocabile di una interna felicità» gli brilla negli occhi. 
La vicenda si sposta a Riccione, dove il colpo di scena è dato dalla nuova, «scandalosa» amicizia tra Fadigati e Deliliers, ospiti entrambi in una camera del Grand Hòtel. Il ragazzo, che lo provocava così brutalmente, ha deciso di farsi mantenere dal dottore attratto  da lui. Lo scalpore è grande, l'offesa al decoro intollerabile: in particolare la signora Lavezzoli, amica di famiglia dei genitori del narratore, rappresenta la figura della provinciale offesa e ipocrita, peraltro all'occasione antisemita. La villeggiatura di Fadigati si fa così sempre più atroce e umiliante, sia per le frecciate che gli vengono dalla Lavezzoli, sia per i tradimenti e gli abbandoni dell'inquieto e brutale Deliliers. Infine questi se ne va, derubandolo quasi di tutto: ma l'infelice dottore non vuole assolutamente denunciare il furto. 
Il ritorno a Ferrara dalle vacanze coincide con l'inizio della campagna antisemita, preannuncio delle leggi razziali. Il narratore confessa il disgusto  crescente per la società ipocrita e spietata dei cattolici, dei goìm ( non Ebrei), e rivede Fadigati, ma non accoglie il suo consiglio di non rispondere all'odio con l'odio. Il mistero di Fadigati è ancora davanti a lui, il mistero di chi trova nell'umiliazione un premio assurdo, ferocemente gaudioso. Tuttavia anche il dottore è alle strette: circondato dall'ostilità generale prende a odiare se stesso, non si perdona il ridicolo in cui è di sua volontà caduto: concluderà la sua vita suicidandosi nelle acque del Po.
Il narratore scopre poco a poco una dimensione di affinità tra la sua emarginazione, legata alla razza, e quella di Fadigati, dovuta alla sessualità. Lo scenario storico è ben presente.
Con le nebbie e le piogge dell’inverno Fadigati non reggerà alla solitudine e all’ostilità e preferirà scomparire tra le acque del Po. Dall’ipocrita stampa locale neppure il suicidio verrà riconosciuto come tale: argomento troppo scabroso come la sua diversità.

....A BEN VEDERE

“Gli occhiali d’oro” di Bassani,  punto di svolta

Romanzo breve pubblicato nel 1958 è  entrato poi a far parte de Le storie ferraresi, mentre Gli occhiali d'oro rappresenta un punto di svolta nel percorso letterario di Giorgio Bassani  per la dimensione narrativa più estesa rispetto alle prove precedenti: Infatti fino ad allora lo scrittore aveva sempre privilegiato la misura del racconto oppure direttamente il "versante" lirico ,  cui corrisponde la scelta di un io, protagonista e voce narrante, che non si limita più a descrivere ambienti, personaggi, fatti , ma è coinvolto direttamente nella vicenda, seguendo la linea della sua urgenza di cercare un rapporto più diretto con il mondo esterno.
 
Secondo romanzo del ciclo dedicato a Ferrara, “Gli occhiali d’oro”, edito nel 1958, narra la storia di due emarginazioni parallele che poco a poco s’incrociano, in un preciso contesto storico, per avere poi un diverso epilogo.
L’argomento dell’omosessualità – non usuale e ancora circondato da molti pregiudizi in quegli anni – viene affrontato con eleganza e levità, partecipazione umana, ma non complicità.
Ferrara, città di provincia, chiusa e perbenista ormai è stata delineata nelle “Storie”, è tutta presente e costituisce il palcoscenico di un approfondimento dell’analisi bassaniana.
Questo romanzo breve e intenso, porta la  novità nella narrativa di Bassani: la presenza dell’io narrante. Gli eventi non vengono più visti da fuori come nelle “Storie”, ma dall’interno, sulla scia della memoria del giovane studente ferrarese di Lettere, che ha conosciuto Fadigati, ha assistito alla sua vicenda e si è riconosciuto, in quanto ebreo, nella stessa solitudine ed emarginazione. Al suo ritorno a Ferrara dopo le vacanze il giovane si sente osservato, un intruso. “Tutto mi disturbava, tutto mi feriva”. (p.128)

Il suo migliore amico Nino Bottecchiari, che si proclama ottimista, dice che è impossibile distinguere in città tra ebrei e ariani, visto che molti ebrei hanno aderito subito al fascismo e costituiscono il nerbo della borghesia cittadina. Proprio Nino accetterà di far carriera nel partito e il narratore sente nascere “l’antico, atavico odio dell’ebreo nei confronti di tutto ciò che fosse cristiano, cattolico: goi, insomma”. (p.134)
Ha oscuri presentimenti: “In un futuro più o meno lontano, loro, i goìm, ci avrebbero costretti a vivere di nuovo là, nel quartiere medioevale da cui, in fin dei conti, non eravamo usciti che da settanta, ottanta anni. Ammassati l’uno sull’altro dietro i cancelli come tante bestie impaurite, non ne saremmo evasi mai più”. (p.134-35)

Bassani, come nelle “Storie” va scandagliando il personaggio ebreo e lo fa soprattutto quando le due storie – di Fadigati e del narratore – s’intersecano: allora si chiede come sia iniziato l’isolamento degli ebrei e, nello stesso tempo, indaga la progressiva emarginazione di Fadigati, il suo essere vittima, ma anche una sua forma di masochismo, di servilismo per cui sembra godere dei maltrattamenti. E se l’incapacità di ribellione fosse, nel profondo, alla base del sopruso subito?


 
L’ultimo dialogo tra Fadigati e il narratore mostra la differenza tra i due.
L’incontro è avvenuto nei sobborghi,una cagna li ha seguiti:

 “«La guardi», diceva intanto Fadigati, indicandomela. «Forse bisognerebbe essere così, sapere accettare la propria natura. Ma d’altra parte, come si fa? È possibile pagare un prezzo simile? Nell’uomo c’è molto della bestia: eppure può, l’uomo, arrendersi? Ammettere di essere una bestia, e soltanto una bestia?»
Scoppiai in una gran risata. «Oh, no», dissi «Sarebbe come dire: può un italiano, un cittadino italiano, ammettere di essere un ebreo, e soltanto un ebreo?» Mi guardò umiliato. «Comprendo cosa vuol dire», disse poi. «In questi giorni, mi creda, ho pensato tante volte a lei e ai suoi. Però, mi permetta di dirglielo, se fossi in lei…»
«Che cosa dovrei fare», lo interruppi, impetuosamente. « Accettare di essere quello che sono? O meglio: adattarmi ad essere quello che gli altri vogliono che io sia?» «Non so perché non dovrebbe», ribatté dolcemente. « Caro amico, se essere quello che è la rende tanto più umano (non sarebbe qui in mia compagnia, altrimenti!), perché rifiuta, perché si ribella?” (pp.147-48)

Fadigati non si sopporta e non si accetta più; ben diverso il giovane: 

“in quel momento, ero certo che non sarei mai riuscito a rispondere all’odio altro che con l’odio”. (p.148)

Il narratore non accetta quella sottomissione che altri volevano da lui, ma risposte definitive alle sue domande non ci sono, il dubbio rimane: sono i ferraresi a ricacciare gli ebrei nel ghetto, facendo rinascere l’antico odio, o quest’ultimo si era solo assopito e le circostanze storiche lo fanno rinascere?

“Il senso di solitudine, che mi aveva sempre accompagnato in quei due ultimi mesi, diventava, se mai, proprio adesso, ancora più atroce: totale e definitivo. Ma con questo? Che cosa volevo? Che cosa pretendevo, io?” (p.166)

È la stessa domanda che ricorre nelle “Storie”, alcuni personaggi delle quali sono  nominati come il dottor Corcos e soprattutto i Finzi-Contini, vero emblema di una parte separata della società ebraica, rinchiusi nella loro casa nobiliare. A questi aristocratici eleganti Bassani dedica un piccolo cammeo che costituisce il viatico per il suo successivo romanzo e capolavoro, “Il giardino dei Finzi-Contini”.
 

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