martedì 11 settembre 2012

L'ultimo concerto di radio Varsavia: Wladyslaw Szpilman e la storia di un sopravissuto




 


La lettura tutta d'un fiato de  "Il pianista" Varsavia 1939-1945 - La straordinaria storia di un sopravvissuto"  romanzo di Wladyslaw Szpilmanmi ha riportato a quel  23 settembre 1939 quando Wladyslaw Szpilman, un pianista ebreo di ventotto anni, eseguiva, con il notturno in C diesis minoredi Chopin, l'ultimo concerto dal vivo trasmesso dalla radio di Varsavia, poche ore prima che una bomba tedesca ne distruggesse gli impianti. 
Cinque giorni dopo, benché una resistenza accanita, 50.000 morti e un quarto degli edifici distrutti, la città era occupata dai soldati di Hitler. 
Ma nel 1945, finita la guerra, scampato miracolosamente al genocidio, Szpilman riprendeva il suo lavoro alla radio, assumeva la direzione dei programmi musicali, proseguiva la sua carriera concertistica compiendo numerose tournées europee.






                                  
             SZPILMAN AL PIANOFORTE
                   
 
Subito dopo la guerra, egli ha raccontato questo suo viaggio nell'orrore in un  libro di memorie, "Il pianista" che ha rappresentato per me, a più di 50 anni dalla sua prima pubblicazione e  tradotto in più lingue con grande successo, un mezzo importante per far conoscere a fondo ad adolescenti inconsci del tragico epilogo della 2^ Guerra mondiale:  vicende reali,  profonda riflessione sull’uomo, la sua crudeltà e sull’unica grande virtù che lo differenzia, a volte, dalle bestie: l’umanità




 In un' intervista rilasciata a Repubblica qualche primo della sua somparsa (2000) relativamente alla tragedia dell'Olocausto, Wladyslaw Szpilman afferma:"Non rinnego affatto le mie origini ebraiche  ma non mi sono mai sentito ebreo sempre e solo sentito polacco. La mia famiglia era completamente assimilata, i miei genitori - mio padre era violinista, mia madre pianista - ci avevano dato nomi polacchi, ci parlavano in polacco (...)I nostri amici erano sia ebrei che ariani e non prestavamo alcuna attenzione alla loro differenza". 

Festa d’Hanoucca
                                        
 
Il clima di terrore che regnava sotto forma di normalità nel ghetto, dove sia la  libertà personale che la vìta stessa non valeva nulla, si può ritrovare in un passo che esemplifica anche lo stile di Szpìlman, impressionante e sobrio: «Un ragazzo di una decina d'anni arrivò dì corsa lungo il marciapiedi. Era pallidissimo e tanto spaventato da dimenticare di togliersi il berretto davanti a un polìziotto tedesco che gli si stava avvicinando. il tedesco si fermò. Senza parlare estrasse la pistola, la appoggiò alla tem pia del ragazzo e fece fuoco. Questi cadde a terra, agitando le braccia, si irrigidì e morì, Lentamente il poliziotto ripose l'arma nella fondina e proseguì. Lo guardai: non aveva lineamenti particolamente crudeli e nemmeno appariva adirato. Era un uomo normale, tranquíllo, che aveva eseguito uno dei suoi tantì irrilevanti doveri quotidianì, per passare subito dopo ad altre più "importanti" faccende».


                                              
 
Szpilman ci afferra alla gola con la semplice ed  inimmaginabile descrizione di ciò che si è svolto sotto i suoi occhi e dove il Male, non per questo meno spaventoso, è ridotto a pura schizofrenia: "La piccola colonna- appunta-  era guidata da una SS che amava i bambini come solo li sanno amare i tedeschi che li amano perfino quando li stanno per mandare all'altro mondo. Questi si prese di una particolare simpatia per un ragazzo dodicenne, un violinista che teneva il proprio strumento sotto il braccio. L'SS gli disse di mettersi in testa alla colonna di bambini e di suonare... e così si avviarono".

                                                    

 
Dalla recensione fatta da Il foglio riportiamo la notizia che  Il libro, scritto nel 1946 dallo stesso Szpilman, nell’edizione italiana contiene diciotto pagine di estratti dal diario del capitano Hosenfeld (pp. 209-226), tra il gennaio 1942 e l’agosto 1944, in cui egli registra apertamente le violenze naziste sui dissidenti  politici interni e su popolazioni occupate, parla con precisione, già nell’aprile ’42, di ciò che avviene ad Auschwitz, non crede alla vittoria tedesca perché afferma «l’ingiustizia alle lunghe non può prevalere....«ora noi abbiamo sulla coscienza sanguinosi crimini a causa delle orribili ingiustizie commesse nell’assassinare i cittadini ebrei».

 Quando morì, nel luglio del 2000, Wladyslaw Szpilman, il pianista sopravvissuto allo sterminio degli ebrei del ghetto di Varsavia, non aveva ancora potuto vedere il suo libro ripubblicato in Polonia. Intitolato  «Morte di una città», il diario del giovane musicista scampato all' olocausto era stato stampato nel 1946; ma fu subito ritirato per volontà del governo cui nonj stava bene la figura del tedesco buono (l' ufficiale della Wehrmacht Wilm Hosenfeld, che salvò Wladek negli ultimi mesi dell' occupazione nazista) e ancora meno il racconto della tragedia degli ebrei in un momento in cui la Russia di Stalin rinvigoriva odi antisemiti.


                                      
                                       

Wladyslaw Szpilman al piano:Nocturno in Do Minore 

lunedì 10 settembre 2012

LETTURE DI NICCHIA

 






 


"La Caccia alle  Palombe in Umbria. Memoria e cultura di una tradizione " di  Vladimiro P. Palmieri  con la grafica di Paolo Biagini, editore  Editrice La Rocca.
Il libro ho avuto occasione di visionarlo presso la Biblioteca Leoni di Todi. Esso è organizzato in  quattro capitoli che  illustrano  gli  aspetti  storici,  tradizionali,  naturalistici  e culturali di una pratica di caccia particolare: la caccia alle palombe, che ha la sua origine proprio in Umbria, la regione dove sono nata.
Particolare è la trattazione delle   origini  di  questa  antica  forma  di  caccia 1600) che ripercorre attraverso la letteratura venatoria e i documenti storici,  la nascita e l’evoluzione di una  tecnica  affascinante con metodica attenzione ai territori  intorno ad Amelia e Perugia.
 Il libro descrive con particolari le antiche Cacce umbre e le  Colombaie oltre a un paragrafo sulla toponomastica venatoria.  
Interessante la raccolta di oltre  cinquanta  foto  e  documenti  econ  un’appendice di  ricette  di  cucina


 



ALTRA pubblicazione di rilievo sullo stesso argomento è "Fra querce e palombe - Colombaccio, colombella e loro cacce" di Giuseppe Mazzotti, un libro che porta  l'interesse verso  un’arte sempre in bilico fra poesia e tecnica, fra l’oggi e la nostalgia. La sua  prosa è anche un inno alla «divinità arborea»  tra il cuore del bosco e il rosso dei tramonti.
 





Ultimamente sono andata in Archivio per cercare notrzie sul cibo tradizionale umbro  e che veniva cuninato nella famiglia dei miei nonni. Mi sono imbattuta anche su notizie relative al modo di cucinare il piatto tradizionale di Todi,  la Palomba alla Ghiotta, il simbolo della città, soprattutto nel periodo tra ottobre e novembre quando vi è il "passo" di questi tipici colombidi (dall’Islanda al Marocco, dal Portogallo al Mar Nero, trasitano sulle regioni centrali italiane)
In documenti molto datati ci si richiama  a  legislazione sulla caccia  particolarmente attenta, soprattutto in periodi di grande diffusa. E addirittura vi è un  determinazione settecentesca fatta all'unanimità per ripetere "l'inveterata osservanza"  della tradizione riguardo la distanza tra gli appostamenti per cacciare le Palombe (piccioni), quelli che tutti chiamano posta delle  delle Palombe