martedì 22 gennaio 2013

FILOSOFIA DELL'ARTE: VERMEER E L'ALLEGORIA




Da "Filosofia blog"  Wordpresse


La visita alla mostra su Vermeer mi ha portato a ricercare notizie anche di spessore sul concetto di arte ed ho trovato questo articolo su Wordpresse (Davide Quattrocchi in Filosofia dell'arte)   che  esamina alcuni aspetti molto interessanti ed inusitati.
 Secondo Quattrocchi la posizione del critico  Danto riguardo all’arte  è  vicina a quella  istituzionale da cui vuole allontanarsi: egli crede che vi siano motivi  ontologici  per distinguere un’opera d’arte da un  oggetto reale e che le “considerazioni storico-narrative siano solo accidentali”.  Per discostarsene elabora una complessa filosofia della storia dell’arte,  una teoria che indaghi il peso delle teorie storico-narrative sulla costituzione delle opere d’arte




 
Egli distingue  tre diversi macro-approcci: la versione di Vasari in cui la posizione storica di un’artista dipende dalla verisimiglianza della sua arte, la versione di Clement Greenberg in cui un’artista si colloca narrativamente a seconda della purezza della propria arte e la sua stessa versione  in cui la locazione storica perde di ogni importanza. Le corrispettive filosofie della storia dell’arte sono quella realista, quella Modernista e quella post-storica.
L’autore ne affronta una alla volta, ma per ora mi interesserò solamente di come viene analizzato  uno dei dipinti più noti o di Vermeer, L’allegoria della pittura (1666) 



Jan Vermeer, Lo studio dell’artista, c. 1665-66, Kunsthistorisches Museum, Vienna (http://www.khm.at)


Il quadro è allegorico e lo capiamo  seguendo  il soggetto del dipinto: la modella forse rappresenta Clio, la musa della Storia, ed anche  la carta geografica alla parete è un’esatta riproduzione dei Paesi Bassi che – in quel periodo ‘particolare’  -a fine del Seicento – rappresenta quasi  un’istantanea  a due dimensioni  della situazione storica  dell’epoca.
L’artista che rappresenta se stesso al lavoro tema non insolito per la pittura del Seicento: pensiamo a «LasMeninas» di Velazquez. In questo caso è Vermeer, il più virtuosistico pittore olandese del secolo, a mostrarci i retroscena del lavoro di un pittore.


Le piccole di Velazquez

 Rispetto a Velazquez, che capovolge il punto di vista per farci ammirare il pittore all’opera come lo vedeva chi vi posava davanti, nel caso di Vermeer il pittore olandese  pone l’eventuale spettatore/noi che guardiamo il quadro, alle sue spalle. In questo caso, quindi, la scena non si discosta molto dai numerosi altri quadri realizzati da Vermeer, soprattutto quelli che raffigurano personaggi in un’attività di studio quali «L’astronomo» o «Il geografo».





Jan Vermeer: Geografo
Geografo



Ancher se  Vermeer  nel quadro stia rappresentando la Storia, il Vermeer pittore non ne è toccato. La presenza di una modella che personifica Clio è  un simbolo  per farci comprendere  che il quadro ha senso allegorico non allegoria  diretta alla Storia, ma alla Pittura.
Il soggetto de L’allegoria della pittura  è Vermeer stesso che dipinge. L’allegoria elaborata dall’artista di Delft vuole raggruppare  in un dipinto tutta la “fatica” pittorica e la sintetizza con  due percorsi che l’artista olandese intraprende nel trattare il proprio soggetto. Due sono gli spunti  molto importanti  e che  ci danno l’opportunità  di riassumere l’intera ‘filosofia’ della pittura seguita dagli artisti occidentali da Giotto a Manet.
1) In primo piano una tenda ollevata  lasciao  libero lo spettatore di ‘spiare’ la scena dipinta.
2) Il pittore volta le spalle al pubblico poiché  è intensamente preso dalla  propria opera rappresentativa (pensiamo a quanto lavoro di precisione per rappresentare nel dipinto la cartina  alla parete).
L’arte, possiamo dire con Quattrocchi, è uno spiraglio aperto sulla realtà  e l’artista non deve preoccuparsi dell’effetto sul pubblico, ma della verosimiglianza della rappresentazione.
Come si può capire  anche dal dipinto di Vermeer – che “ ingloba” la Storia solo per negarla come soggetto – la parola ‘realtà’ non vuol essere una serie di avvenimenti storicamente certi, ma “una dimensioneconnotata da uno stretto rapporto di somiglianza con gli oggetti presenti inquesto mondo”. In questo senso anche il dipinto allegorico di Vermeer diviene  realistico.
Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese, Scuderie del Quirinale, Roma
SCUDERIE QUIRINALE




Ciò che appare sorprendente in Studio dell'artista" , come in tutti gli altri quadri di Vermeer, è la qualità eccezionale della luce: ogni sfumatura di colore è specificatamente  studiata per creare la sensazione più verosimile  della luce che entra nell’ambiente. Nella realtà lo spazio  interno, è potenzialmente buio. La luce, così, tende a prendere in questo spazio una sua precisa fisionomia visiva." La luce «si vede». Non sta semplicemente a «far vedere» le cose, ma si «fa vedere» lei stessa. È proprio in questa straordinaria capacità di rendere visibile e quasi tattile la luce che si ritrova uno dei maggiori fascini della pittura di Vermeer, che ritroviamo in tutti gli altri quadri da lui realizzati".






Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese, Scuderie del Quirinale, Roma
Sale di esposizione




RIFLESSIONI DOPO LA VISITA ALLA MOSTRA SU VERMEER





Cosa avrà potuto pensare la Ragazza con cappello rosso, logo del depliant della mostra su Vermeer, chiusasi il 20 gennaio a Roma:“Ma sono proprio io, in questo momento, il centro del vostro mondo? Ma perché continuate a fissarmi così, intensamente? “.
Quella ragazza  sembra guardare  incredula, sotto il suo cappello  rosso: stupita di aver dovuto  sostenere tanti  sguardi di chi la ha osservata ed abbia voluto  conoscere i suoi impenetrabili segreti, i suoi stati d’animo, i suoi turbamenti. Infine stupita del fatto che chi sia entrato  nel suo mondo, racchiuso in quel piccolo dipinto giunto a Roma  dopo un lungo viaggio ( Washington), sia stato proprio “calamitato” dal suo sguardo;  lei invece  sembra voglia distogliere quegli sguardi con un che di pudico e ne è prova forse la  sua bocca socchiusa che indica un certo  disorientamento.

Johannes Vermeer – Girl with a Red Hat, National Gallery of Art, Washington – Vermeer. Il secolo d’oro dell’arte olandese, Scuderie del Quirinale, Roma

Ma, come ribadisce Massimo Mattioli:”   Risposte, non ne avrà. Perché le risposte sono legate soltanto al suo creatore, Johannes Vermeer (Delft, 1632 – 1675): alla qualità della sua opera, ma soprattutto alla sua inomologabilità, che nel raffronto con tanti artisti olandesi a lui coevi trova l’ennesima conferma. Nella temperie ormai acquisita per la pittura del Secolo d’Oro dell’arte olandese – ruolo centrale della luce che si fa metafisica, promozione degli interni domestici e borghesi a “teatro della vita”, attenzione quasi simbolistica ai dettagli, realismo che trascura l’espressività per la visualità – Vermeer si pone un passo avanti: spingendosi – per citare Wilhelm Worringer – oltre “la superficie visibile delle cose”.


 

LA PROSSIMA MOSTRA A LONDRA: RAPPORTO TRA ARTE E MUSICA


Anche la ragazza di burro di Vermeeer ci guarda negli occhi, apparentemente,  distrattamente tranquilla paciosa, «in piedi al suo virginale» (probabilmente si suonava anche in questo modo così , impettito oensano i noiosi  teorici della filologia musicale). E il critico Marco Vallora ci  introduce nel paradosso:"In apparenza effetti/apparentemente, potrebbe parere un paradosso contraddittorio, una distrazione stilistica: in realtà proprio qui, in questo nido-nodo gelidamente, cremosamente incandescente, sta tutto l’enigma impenetrabile, caldamente minerale, di questo vertiginoso, misterioso, inafferrabile genio dell’inquietante seraficità pittorica. Ci guarda, in effetti, e non ci vede, all’apparenza (come capita invece alla maliziose consorelle coeve di van Mieris, Metsu, de Man, che quasi c’intrappolano in una sorta di civettuolo nastro adescante, che ruscella furbetto dalle loro pupille puntute...)



Johannes Vermeer. Giovane donna in piedi al virginale, 1670/1673. The National Gallery, Londra



Certamente, dall’alto del suo "virgineo temperamento" un po'  altezzoso-aristocratico, la musicante può aver notato uno sbilanciamento:  gran parte dei visitatori della mostra alle Scuderie del Quirinale si è addensato,  stratificato, prevalentemente d’innanzi ai soli Vermeer e ha in parte disertato  i contigui "compagni di strada e stradine" (non soltanto di Delft: il contorno del Secolo d'Oro è assai ampio).
In effetti secondo me  il fascino di questa ricca mostra, curata da Walter Liedtke, Arthur K. Wheelock jr e da Sandrina Bandera (per quanto riguarda i "riverberi" con l’Italia. Asai interessante  il confronto con la Santa Prassede di Ficarelli, che l’ex calvinista Vermeer "replica", aggiungendovi solo un crocefisso, per far piacere alla suocera molto cattolica) è proprio nei confronti, nelle consonanze/ dissonanze, che ci hanno aiutato a capire.  





Se si è entrati a pieno nella mostra ci si è resi ben conto  che "l’incantesimo di Vermeer si materializza (quasi spiriticamente) in quest’immobilità stupefatta, d’astratto, candito sortilegio crepuscolare. "




INFINE.....



SIGMUND FREUD, portrait by Graziano Origa, 25x45,  for Nòva100, 2009.

 Queste MIE riflessioni sono  stimolate dalla mostra romana delle Scuderie del Quirinale, che ha vissuto l' ultimo weekend di apertura: evento che non mi sono fatta sfuggire anche perché difficilmente ricapiterà nel corso degli anni a venire.
Difatti nell'ultimo secolo le grandi mostre dedicate nel mondo a Vermeer sono state otto, e di queste soltanto tre hanno ottenuto in prestito più di 4 capolavori dell’artista: e a Roma ve ne sono state in mostra otto!!!
Di articoli entusiastici ne ho sfogliati  tanti, in questi mesi: anche acriticamente, aprioristicamente entusiastici. E posso  sottolineare però  che  il nome forte di Vermeer finisce per mettere in ombra quello che poi è il vero corpus della mostra: la straordinaria documentazione del “secolo d’oro dell’arte olandese” con  le oltre cinquanta opere di grandi coevi di Vermeer, che testimoniano di un clima unico  nei Paesi Bassi del Seicento. 

LOGO DEPLIANT


Cosa dire di  una piccola cittadina,  Delft che  contava all’epoca 52 pittori professionisti, che  rende plasticamente l’idea della rivoluzione sociologica che si stava attuando: da questione riservata a  committenti solo del clero e nobili -  come era sempre stato  e come continuava ancora ad essere nell’area “mediterranea-l’arte allargava gli orizzonti  entrava  nelle case borghesi.
 Non più grandi pale d’altare,  monumentali ritratti, ma piccoli dipinti, proprio per  interni domestici (le opere in mostra a Roma raramente superano il metro di misura). Ma soprattutto, rivoluzione tematica: l’arte finora doveva tenere in conto una “correttezza” dottrinale, quando aveva a che fare con una committenza religiosa, una “correttezza” diplomatica, nel caso di committenza nobiliare. L’Olanda protestante e si andava liberando dalla dominazione spagnola e  la pittura si affrancava  da prescrizioni, adeguandosi alle esigenze del pubblico nuovo

View of Delft

c. 1660-61 Oil on canvas, 96.5 x 115.7 cm; Royal Cabinet of Paintings Mauritshuis, The Hague 



1 commento:

Silvia Shabby Chic Joy ha detto...

Cara Simonetta, grazie per queste spiegazioni sulla mostra molto interessanti, volevo proprio andare a vederla, spero di trovare il tempo!
a presto Silvia