venerdì 27 giugno 2014

CON PALAZZESCHI IL Giro d'Italia Letterario di fine giugno, tra allegria e commozione nel romanzo LE SORELLE MATERASSI di Aldo Palazzeschi






PALAZZESCHI ..."LE SORELLE MATERASSI"



Aldo Giurlani che assunse poi il cognome della nonna materna Palazzeschi, nasce a Firenze nel 1885 da una media famiglia borghese specialista nel commercio delle stoffe.
Dopo aver seguito  studi di carattere tecnico, si diplomò in ragioneria nel 1902. Contemporaneamente, essendo molto forte in lui la passione per il teatro, frequentò  la scuola di recitazione "Tommaso Salvini", diretta da Luigi Rasi, dove ebbe modo di far amicizia con Marino Moretti. Passò a lavorare con la compagnia di Virgilio Talli, con la quale debuttò nel 1906. 

LO SCRITTORE
PALAZZESCHI
MARINETTI
Che carattere aveva? Dal temperamento focoso e ribelle, e ben presto  provocatore di professione, sia  perché esercita originalissime forme di scrittura sia perché propone una lettura della realtà molto particolare, rovesciata rispetto al modo di pensare comune.
Eccolo poeta nel 1905 con il libretto di versi "I cavalli bianchi". Poi nel 1909, dopo la pubblicazione della terza raccolta di versi, "Poemi", che gli procura fra l'altro l'amicizia di Marinetti, aderisce al Futurismo (di cui Marinetti è  appunto il deus-ex-machina) e, nel 1913, inizia le sue collaborazioni a "Lacerba", la storica rivista di quella corrente letteraria. 


Dei futuristi ammira la lotta contro le convenzioni, contro il passato recente ricco di fumoserie, gli atteggiamenti di palese provocazione tipici del gruppo, le forme espressive che prevedono la "distruzione" della sintassi, dei tempi e dei verbi (per non parlare della punteggiatura) e propongono "le parole in libertà". Quello con i Futuristi è un sodalizio che viene così descritto e commentato dal poeta: 

"E senza conoscerci, senza sapere l'uno dell'altro, tutti quelli che da alcuni anni in Italia praticavano il verso libero, nel 1909 si trovarono raccolti intorno a quella bandiera; per modo che è col tanto deprecato, vilipeso e osteggiato verso libero, che agli albori del secolo si inizia la lirica del 900". 

Dalle Edizioni Futuriste di "Poesia" esce nel 1911 uno dei capolavori di Palazzeschi, "Il Codice di Perelà", sottotitolato Romanzo futurista e dedicato "al pubblico! quel pubblico che ci ricopre di fischi, di frutti e di verdure, noi lo ricopriremo di deliziose opere d'arte". 

Considerato da numerosi critici uno dei capolavori della narrativa italiana del Novecento, precursore della forma "antiromanzo", il libro è stato letto come una "favola" che intreccia elementi allusivi a significati allegorici. Perelà è un simbolo, una grande metafora dello svuotamento di senso, della disintegrazione del reale.
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Dopo un così clamoroso idillio, rompe  però con il Futurismo nel 1914, quando la sua personalità indipendente e la sua posizione pacifista si scontrano con la campagna per l'intervento in guerra dei Futuristi, evento che lo porta anche a riavvicinarsi a forme più tradizionali di scrittura di cui ne è esempio il romanzo "Le sorelle Materassi"





SINGOLARE L' EDIZIONE CHE HO LETTO, TESTO CHE E' APPARTENUTO A MIO PADRE...
Anno pubblicazione: 1934
Editore: Vallecchi

 
COSA RACCONTA LA TRAMA

In una vecchia casa della pianura di Firenze ecco Teresa e Carolina, due attempate  "signorine", le sorelle Materassi, con la serva Niobe e Giselda, la sorella più giovane, tornata a casa dopo un matrimonio fallito. In 40 anni di continuo e duro lavoro hanno ricostituito il patrimonio familiare dilapidato dal padre, ed ancora continuano a preparare i corredi da sposa per le famiglie più in vista di Firenze.
Le Materassi hanno una sorella, Augusta, vedova con un figlio, Remo, che vive ad Ancona. Quando questa si ammala e muore, le sorelle decidono di prendere in casa il nipote Remo. Sono subito  sedotte dal suo modo di fare e dalla sua bellezza fisica, Teresa e Carolina trasferiscono il loro amore su Remo e lo viziano in tutti i modi, solo Giselda si mostra dura con lui, con l’unico risultato di farsi odiare dalle sorelle e deridere da Niobe. Con l’aiuto di una vecchia amica, direttrice di scuola, il ragazzo quasi analfabeta, in tre mesi riesce a prendere la licenza elementare, ma tutti i tentativi delle zie di fargli continuare gli studi falliscono, senza che per questo le due sorelle e Niobe desistano dalla loro cieca adorazione
 Passano gli anni e Remo diventa un bel giovane, ammirato, rispettato e temuto, si fa regalare dalle zie prima una motocicletta e poi un’auto di lusso. Porta a casa  amici ad ogni ora ed incomincia a condurre vita mondana, coinvolgendo anche le  zie, che egli chiama “scimmie ammaestrate”. In poco tempo il giovane ne dilapida il patrimonio, e poiché hanno "assaggiato" un po’ di vita mondana, non si appassionano più al lavoro e pian piano sostituiscono la clientela di un tempo con un’altra meno scelta. Il giovane arriva a costringere le zie a firmare una cambiale, parte e ritorna con una fidanzata americana e ricca. Si celebrano le nozze e le zie partecipano vestite come spose, poi Remo e moglie partono per l’America. Le zie  non hanno più nulla, i beni venduti, la casa non più di  proprietà, manca anche il cibo. Eppure, insieme a Niobe continuano a rimirare le foto del nipote: Giselda esasperata lascia la casa, Teresa e Carolina continuano a cucire, però  biancheria di contadine e solo così riescono a sfuggire alla miseria, mentre le fotografie del ragazzo vengono appese al muro della stanza di lavoro. Povere in canna, continuano ad adorare il ragazzo, soprattutto rincitrullite nel culto amoroso delle forme del ragazzo…

....PAGINE

Per coloro che non conoscono Firenze o la conoscono poco, alla sfuggita e di passaggio, dirò com’ella sia una città molto graziosa e bella circondata strettamente da colline armoniosissime. Questo strettamente non lasci supporre che il povero cittadino debba rizzare il naso per vedere il cielo come di fondo a un pozzo, bene il contrario, e vi aggiungerò un dolcemente che mi pare tanto appropriato, giacché le colline vi scendono digradando, dalle più alte che si chiamano monti addirittura e si avvicinano ai mille metri d’altezza, fino a quelle lievi e bizzarre di cento metri o cinquanta.
[incipit]


 Anche se assume la forma compiuta del romanzo, lo spirito che sottende Sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi risulta fortemente teatrale. È come se il curioso capitolo introduttivo dedicato a Santa Maria a Coverciano, con tante note paesaggistiche di carattere boccacciano, fosse una cornice di ambientazione popolare, funzionale ad uno spettacolo che sta per cominciare. Davanti ai nostri occhi di lettori-spettatori compare allora un minuzioso fondale di “colline armoniosissime”, che esercitano il potere di tante “padrone” sulla “serva” pianura, dove, tra i due ruscelli dell’Africo e del Mensola, si erge un piccolo paese. 
In questa amena località della Toscana, che forse un tempo assistette ai travagli compositivi del Decamerone di Giovanni Boccaccio, ritroviamo appunto la casa con il cancello aperto sempre a metà delle Sorelle Materassi, Cucitrici di Bianco – Corredi da Spose, come annuncia l’intestazione delle loro fatture. 
La magia della commedia a sprazzi già qui, con l’animarsi di figure lievi e bizzarre, frutto della potenza rappresentativa di Palazzeschi. Con rapide ma efficaci pennellate lo scrittore suggerisce – nonostante l’azione si svolga nel 1918 – il milieu ottocentesco e polveroso del “lavoratorio” Materassi, indugiando sui tratti umani, sul passato e sulle buffe abitudini delle protagoniste. Entriamo però nel vivo dell’azione scenica solo dopo un’ottantina di pagine, quando nel mondo crepuscolare delle morigerate zitelle irrompe, con effetto destabilizzante, il bellissimo nipote Remo, simbolo di amore, sensualità, modernità e giovinezza. Poi tutta la narrazione, certo non abbondante di dialoghi, procede attraverso il susseguirsi vivace di scene  sospese tra ironia e malinconia. 
Immagini gloriose, trapunte da una diffusa coralità, che con il critico De Robertis  ( G.DE ROBERTIS, Sorelle Materassi, in Scrittori del Novecento, Firenze, Le Monnier, 1940, p.170), si possono definire da opera buffa, come quella famosa della cambiale, “un continuo concertare, a due, a tre, a più voci” unito all’ ”ineffabile di certe trovate” (come le zie rinchiuse a forza nella dispensa e Giselda che canta ignorando l’accaduto) che segnano il trionfo del riso palazzeschiano.
Risulta quindi del tutto naturale la scelta di dare all’opera carattere mimetico-dialogico, al fine di renderla del tutto  efficace anche per il palcoscenico.
 Un’opera comunque problematica, che ha già alle spalle un’intensa storia redazionale, avendo subito nel corso degli anni per volontà dello stesso autore tre diverse stesure: la prima nel 1934 per i tipi Vallecchi, la seconda nel 1942 (sempre per Vallecchi) dopo una correzione analitica, ed, infine, la terza, con pochi ritocchi, nel 1960, in occasione della ristampa Mondadori di tutte le opere dell' autore.

 In generale, l’itinerario  della prosa di Sorelle Materassi, che investe quasi esclusivamente lo stile ed il lessico, secondo la critica,  ricerca una maggiore letterarietà, a scapito di un  più marcato tono popolaresco fiorentino, ma anche effetti di armonia mediante la razionalità del discorso, spesso reso più icastico con  immagini e similitudini (Cfr. Giuseppe AMOROSO, Le tre redazioni delle “Sorelle Materassi”, in Sull’elaborazione di romanzi contemporanei, Milano, Mursia, 1970, pp.75 – 76)

IL RISO IN PALAZZESCHI...

 Sorelle Materassi è uno degli esempi migliori in cui il riso e lo smascheramento della verità sono direttamente collegati tra di loro. Le falsità raccontate, le maschere che i personaggi palazzeschiani spesso indossano, cadono di fronte al riso che esse provocano negli altri. 

 «Via, via... su, presto, fra mezz'ora sarò qui, fatevi trovar pronte, non vi fate aspettare». Niobe, dalla porta, colle mani sui fianchi, rideva, rideva tutta, facendo ballonzolare nel riso i due rulli di carne che combaciavano alla vita dando l'impressione, come due immense labbra enfiate, che ridesse anche con quelle. "

.........

 "La contessa aveva capito ogni cosa o ammetteva di aver capito ridendo clamorosamente. Ridevano insieme da buoni camerati. D'altronde, se egli poteva aver tutto per nulla, la contessa lasciava capire, col suo buon umore, di trovare anch'essa delle ottime mercanzie ad un prezzo più conveniente. Ridevano insieme. Erano ormai due uomini che parlano dei loro affari e dei loro interessi che vanno a vele gonfie"

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In questo senso la comica goffaggine e la risata a essa conseguente, altro non sono se non un mezzo per perseguire una più profonda chiarezza interiore. La rivelazione ottenuta attraverso il riso apre alla vita, dà luogo alla festa, provoca una migliore consapevolezza di se stessi. E allora, attraverso le armi dell’ironico, Palazzeschi suggerisce quanto migliore sia la verità, anche se per raggiungerla egli non esita talora ad usare i mezzi cinici del grottesco e della malizia.(C. MARABINI, La chiave e il cerchio: ritratti di scrittori contemporanei, Milano, Rusconi, 1973).

 
I mancati amori ...

In una lettera del 1933 ad Antonio Baldini, Palazzeschi, presentando sommariamente i caratteri del suo romanzo, parla di «due piccole ricamatrici di bianco alle quali per i casi della vita vengono a svilupparsi tardivamente e confusamente i sentimenti elementari della donna: maternità e amore».
Lo status di donna non sposata non consente alle due sorelle di dare sfogo ad  essenziali pulsioni. Ma con l'arrivo inaspettato di Remo che, meteora silenziosa, penetra nel compatto microcosmo, sembra loro concesso un  riscatto.
Per cogliere il valore e la particolare funzione assunta dal taciturno ragazzo può essere utile, come osserva Giuseppe Nicoletti, "fare un passo indietro e tornare ancora una volta a una particolare abitudine delle donne nelle lunghe giornate che ne precedono l'avvento, l' imbellettarsi e incipriarsi' dei pomeriggi domenicali".

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FINESTRA SULLA CAMPAGNA TOSCANA -   TARASCO
 

Pressoché dimentiche della loro femminilità, le due sorelle consumano il loro tempo nella stanza da lavoro. Dapprima costrette a rimediare agli sprechi di un padre scialacquatore, fanno poi del loro mestiere un'autentica religione, e delle conseguenti  inibizioni la maschera di un Io incapace di «affrontare un mondo che sentono ostile e come inaccessibile per loro»: hanno rinunciato ad essere amanti, hanno rinunciato ad essere madri, tappandosi le orecchie di fronte ai reclami che «afferiscono al sostrato istintuale della personalità, specie agli impulsi della sessualità». […]
È una sorta di 'femminilità riesumata, il tentativo di riportare in vita «il loro io preistorico»,  che le induce civettuole a sognare e a fantasticare di amori che mai in realtà hanno bussato alla loro porta: è la loro latente sensualità che trova una seppur minima valvola di sfogo nella rievocazione di un «passato amoroso inesistente
 
Le Signorine Materassi  assumono  ricorrendo al teatro e ai suoi eccessi, un’“attitudine [...] tragicissima”, per sposarsi pure loro con Remo, biancovestite e spettrali (“Il loro candore verginale nascondeva una parola di sangue come il revolver o il pugnale”), o prima, finché possibile, per continuare ad uscire e divertirsi con lui: “Teresa in viola con guarnizioni verdi e piume gialle, e Carolina tutta di celeste con piume rosa. 

 
IN CONCLUSIONE...
 
Nota il critico Pancrazi, ancora a proposito dell’irresistibile potere coinvolgente di quel “ragazzaccio”: “Direi che l’invenzione di Remo ha avuto un effetto vivificante, oltre che sulle Materassi, anche su Palazzeschi che non aveva mai acceso tanti e così scoppiettanti razzi alla sua girandola, come adesso per lui”

 

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