sabato 1 settembre 2012

Jane Eyre, un modello di emancipazione femminile


Da chi come me  ha vissuto  il periodo del ’68 in cui le giovani studentesse e non   cominciavano a capire cosa volesse dire emancipazione femminile, avvicinarsi di nuovo a "Jane Eyre", capolavoro della scrittrice inglese Charlotte Bronte, ha rappresentato il rileggerlo  tutto d’un fiato.
E in tal modo lo lessero i tre soci della casa editrice Smith, Elder and Co. di Londra, ai quali il manoscritto era stato inviato dall’autrice stessa sul finire dell’estate  del 1847 per essere poi pubblicato nell' autunno dello stesso anno divenendo subito un “caso editoriale”, come si direbbe oggi.
A favorire il successo contribuirono la franchezza con cui si affrontava il problema dei rapporti sociali fra i due sessi;la decisione di allontanarsi dalle forme convenzionali della narrativa. 
Un trionfo sociale e letterario di un atteggiamento anticonformista: pubblicato col sottotitolo di “Un’autobiografia”, Currer Bell (Pseudonimo) era stato identificato come il “curatore” e non l’ autore. Il sottotitolo fu  eliminato nelle successive edizioni  del romanzo.
Non si intuiva se lo scrittore fosse un uomo o una donna e se le “bells”  fossero tre persone, due, oppure una sola.
Quando si seppe che era stata una donna a scrivere un romanzo così appassionato, le recensioni furono negative (povere donne acculturate ed intellettuali !!!)
“Jane Eyre” apparve un romanzo a rischio per il senso di disagio  creato nel contesto della società vittoriana. Ma piacque, a dispetto di molti...
Quello che non piaceva ai critici dell’epoca era la personalità stessa della protagonista, così diversa dalle eroine tradizionali vittoriane, cosciente  di certi diritti femminili che la nostra società riconosce, almeno esteriormente, ma che la mentalità vittoriana arrivava a considerare come sovvertitori dell’ordine costituito.
A noi sembra logico che una donna possa affermare la propria decisione di disporre della sua vita e del suo avvenire secondo coscienza, al di là delle convenzioni e delle circostanze, difendendo la propria dignità e la propria indipendenza di giudizio al pari dell’uomo; ma non era certamente questa l’opinione corrente nell’Inghilterra del 1847.
Si immagina l’eccitazione della Londra letteraria quel giorno dell’estate del 1848 in cui l’enigmatico Currer Bell, autore di Jane Eyre –il caso letterario dell’anno- rivelatosi donna, fanciulla, e piccola, timida, introversa, dai capelli chiari leggeri e diritti, aveva accettato di prendere parte al ricevimento indetto in suo onore in casa dell’autore di Vanity Fair. Lei da sola e in pochi mesi aveva ottenuto i consensi di critica e di pubblico che a lui erano costati dieci anni di lavoro.
Mi ha  colpito dunque la sua voglia di indipendenza, il suo rigore morale insieme al suo essere tormentata, piena di paure e di pentimenti, eroina imperfetta, ma che ce la mostrano   più DONNA di molte altre figure femminili tipiche dei romanzi ottocenteschi.
Ha rappresentato una persona, con idee precise e individuali e un importante elemento parte di una coppia, o oggetto/soggetto amoroso. Cosa non così banale neppure al giorno d'oggi, figuriamoci  in epoca vittoriana. Certamente a tratti l’autrice può apparire  eccessivamente dura, autonoma, ma in quel momento era l'unico modo per farsi sentire raccontando con la rabbia di una donna vera - l'autrice del romanzo-  che lottava in un mondo estremamente maschilista.
E poi la storia d'amore con il signor Rochester !!!





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